Innanzitutto partiamo dal suo curriculum: Laurea in Filosofia, Presidente della Regione Emilia Romagna, Ministro dell’Industria del Governo Prodi, Ministro dei Trasporti nel Governo D’Alema, Deputato dal 2001, Parlamentare europeo nel 2004, Ministro dello Sviluppo Economico dal 2006.
Generalmente riconosciuto come
una persona onesta e da molti ricordato positivamente per le cosiddette “lenzuolate”
durante l’ultimo Governo Prodi, liberalizzazioni che ebbero una ricaduta
positiva anche sulla vita dei cittadini, come l’abolizione dei costi di
ricarica telefonica tramite bancomat, l’abolizione delle spese di chiusura
conto bancario, l’abolizione delle penali per la rinegoziazione dei mutui,
niente ricorso al notaio per estinguere l'ipoteca, la possibilità di usufruire
della classe di merito di un familiare per l’assicurazione dell’auto. Insomma. Da
un certo punto di vista poteva essere ben visto anche dagli indignati dell’ultima
ora, quelli che lamentano la lontananza della politica dalla vita degli
italiani.
Ma tant’è. Lo spettacolo andato
in onda è di tutt’altra fattura. In questi mesi Bersani è apparso impacciato, imballato. Incapace di dettare una propria linea.
Pronto sempre a rincorrere le istanze degli avversari e dei cittadini. A
rintuzzare gli attacchi e a prendere le distanze con quel suo linguaggio colorito: “Noi non
ci stiamo” – “Sia ben chiaro” – “Allora non ci siamo capiti”. – “Non stiamo
mica qui a pettinare le bambole”. “Meglio che sto zitto, non parlo per il bene
del partito” – una delle ultime battute riferendosi ad una polemica con il sindaco
di Firenze.
E’ tutto li l’errore, caro
Bersani. Dovevi parlare, eccome se dovevi parlare. Sin dalla campagna
elettorale, l’idea che volevi trasmettere dell’Italia non è per niente passata, ammesso che ci fosse. Sono rimaste solo le polemiche con Monti e le dichiarazioni di intenti con
Vendola. Nulla di programmatico. E non ti puoi candidare alla guida dell'Italia se non fai capire da che parte vuoi portare il paese, come vuoi risollevarlo, come
vuoi farlo uscire dalla crisi, con quali idee, con quali proposte.
Gli 8 punti dirai tu: Norme
schematiche, con un linguaggio non di facile comprensione, che vanno bene per
la destra. Non per la sinistra. A sinistra bisogna usare la parola, bisogna
spiegare, far capire. I famosi 8 punti non sono mai diventati terreno di
dibattito e un motivo ci sarà. Certo il momento non è facile, il paese brucia
Presidenti come fossero cerini. Grillo ha sprecato l'occasione per trasformare in pratica le sue istanze, l'uomo di Arcore è anziano e impresentabile, Monti ha sbagliato anche lui messaggio elettorale, venendo penalizzato dalle urne. Chiunque si sarebbe trovato in seria
difficoltà ad amministrare questo passaggio storico, con un partito come il Pd che tra l'altro non fa che cannibalizzare le
sue guide.
Ma a maggior ragione, per essere leader di un partito e di un paese,
non ci si può limitare a rintuzzare, bisogna proporre. Bisogna parlare,
esporsi, talvolta ritirarsi e pensare. Talvolta tenere il punto e fare un po' di
strategia, magari trattare (esiste ancora la trattativa, la mediazione, nella
politica o è stata abolita?) invece di andare allo sbaraglio in Parlamento, sotto il tiro di una classe politica confusa e contraddittoria, con forze diverse e con direzioni opposte. Per risolvere tutto questo, essere dei buoni cristi non basta.
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