lunedì 19 novembre 2012

Polizia e Cittadini, Un Rapporto Da Ricostruire



Sono rimasto sorpreso dalle eccessive reazioni della gente agli scontri di mercoledì sul lungotevere di Roma. Reazioni immediate, come quella della signora che tentava di strappare un ragazzo dalle mani degli agenti – Lasciate stare i nostri figli – urlava, e che sono proseguite sui social network e sui media nazionali. Sono rimasto sorpreso perché non mi sembrava di vedere particolare accanimento o brutalità da quelle prime immagini. Si, è vero, qualche manganellata di troppo. Ma non tali da provocare una reazione cosi accesa. Soprattutto se teniamo conto che stiamo parlando di un corteo non autorizzato, alla cui testa, ad un certo punto si sono messi oltre una cinquantina di ragazzi, con caschi, scudi, mazze e bombe carta, che puntavano al Parlamento. Un atteggiamento non pacifico, che ha portato allo scontro fisico. Situazioni nelle quali diventa davvero difficile riuscire a rimanere integerrimi.



In quelle manganellate di troppo, seppure da evitare, ho visto solo una momentanea e limitata perdita di controllo dovuta alla difficoltà della situazione, non una volontà di annichilimento fisico dei manifestanti, come successo nel passato in altre occasioni. Quelle stesse reazioni da parte della popolazione non si sono, poi, avute per il giovane agente aggredito da sette, otto ragazzi davanti la sede della provincia di Torino. Una valutazione diversa sulla violenza che  mostra come quel legame di fiducia, faticosamente ricostruito dopo gli anni ’70, tra Forze dell’Ordine e popolazione si sia irrimediabilmente logorato dopo il G8 di Genova del 2001.  


DIECI ANNI DI BRUTALITA’ - Il clima politico e l’atteggiamento stesso delle forze dell’ordine è migliorato negli ultimi mesi, ma le ferite accumulate negli ultimi anni, richiedono tempo, sforzo e pazienza, per essere rimosse. Perché non sono da poco: il G8 di Genova, le morti tra le mani dello Stato di Aldrovandi, Cucchi, Uva o Ferrulli. La stessa gestione della questione No Tav, con centinaia di lacrimogeni lanciati ad altezza d’uomo e botte gratuite e pericolose ai manifestanti già in stato di fermo. Una delle rare eccezioni fu il Social Forum di Firenze del 2002, dove nonostante il tentativo di criminalizzare il movimento dei social forum, la sapiente gestione del prefetto Serra accolse nel capoluogo toscano oltre un milione di persone. Ora, dopo quegli anni di black – out democratico, bisogna riaccendere la luce ed evitare di soffiare sulle tensioni che comunque non mancano.

G8 GENOVA, UNA FERITA DIFFICILE DA DIMENTICARE - Tre giorni di delirio, che hanno portato alla morte di Carlo Giuliani e alla rappresaglia della Scuola Diaz. L’argomento Giuliani resta difficile da affrontare. Si rischia sempre di offendere la sensibilità di qualcuno. Quello che voglio dire è che arrivati in quella situazione, si rischia sempre una tragedia. Il vero problema è non arrivarci. E a Genova tutto ha concorso a creare quel punto di rottura. Il clima di contrapposizione, gli errori, voluti o casuali. Perché quello scontro violento che ha portato a Piazza Alimonda è nato da un errore degli agenti, che sbagliando strada per rincorrere i black-bloc, hanno aggredito il corteo autorizzato delle "tute bianche". Verità che è emersa solo tre mesi dopo il G8. Aggredito in maniera violenta, rincorrendo le persone dentro i vicoli, accanendosi su di esse, soprattutto quando cadevano a terra. Cosa questa non sopportabile in nessun paese civile.

LA SCUOLA DIAZ - E cosi. Il giorno dopo con un corteo di 400.000 persone, composto anche da anziani e bambini provenienti dal mondo dell’associazionismo che protestavano contro i mali della globalizzazione, a farne le spese erano nuovamente i più indifesi. La Mattanza continua la sera, a vertice ormai concluso, nella Scuola Diaz. Quando agenti non ben identificati, fanno irruzione senza motivo nella scuola usata per dormire dai manifestanti, massacrando di botte 90 persone: 63 uscirono in barella, qualcuno senza denti, qualcuno senza un rene, molti con la testa fracassata, con la scia di sangue, su mura e scale, a raccontare la violenza insensata e brutale di quei momenti. Il tutto con l’appoggio dell’allora potere politico, con il ministro Scajola che la sera stessa parlava dell’arresto di “pericolosi black bloc”. Gli agenti che parlavano dell’accoltellamento di un agente, mai avvenuto, e del ritrovamento di due molotov, che portarono loro stessi nella scuola, come dimostrò poi l’inchiesta.

LE TORTURE ALLA BOLZANETO - A tutto questo vanno aggiunte le torture a cui vennero sottoposte le persone fermate nella Caserma Bolzaneto: offese, umiliazioni, ma anche botte e intimidazioni, avvenute in un clima di esaltazione politica, con riferimenti a dittatori di varie nazionalità. Stiamo parlando di rappresentanti dello Stato da una parte e di cittadini normali e non di delinquenti o riconosciuti violenti, dall’altra. Quella di Genova è stata una delle pagine più nere degli ultimi anni. «La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale» secondo l’organizzazione per i diritti umani Amnesty International, che opera in tutto il mondo.

LE AMBIGUITA’ - Ovviamente, nonostante l’appello dell’allora Presidente della Repubblica Ciampi, le ambiguità sono continuate anche negli anni successivi. Con la Polizia che ha ostacolato le indagini, rendendo di fatto difficile conoscere i nomi degli agenti che hanno partecipato all’assalto alla Diaz, con la misteriosa scomparsa dagli uffici delle due bombe molotov, prove processuali, con la promozione di alcuni dei dirigenti, protagonisti di quei giorni.

LA CONDANNA DEI DIRIGENTI -  Una scelta che è stata “troncata” dalle condanne inflitte lo scorso Luglio a 17 di questi dirigenti, proprio per i fatti della scuola Diaz, con la interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, che ha colpito anche pezzi grossi come il capo dell’anticrimine Francesco Gratteri (4 anni), il capo del Servizio centrale operativo Gilberto Caldarozzi (3 anni e 8 mesi), e il capo del dipartimento analisi dell’Aisi Giovanni Luperi (4 anni) e Spartaco Mottola, di cui abbiamo sentito riparlare durante i recenti incidenti alla stazione di Torino, al termine di una manifestazione No Tav. Una sentenza che ha ridato speranza e dignità all’Italia. E che ha posto fine a dieci anni di violenze e ambiguità. Delle forze dell’ordine e di una parte politica.

E' ORA DI RICOSTRUIRE -  Ora però bisogna voltare pagina. Bisogna ripartire dalle macerie e ricostruire quel legame di fiducia tra la Polizia in particolare e la popolazione. Evitare di scaricare su chi c’è adesso, tutte le colpe del passato, sia tra gli agenti, che tra i dirigenti. Ma giudicarli per quello che fanno. Nel bene e nel male. In questo momento. Non ripetere l'errore di incentrare tutta l’attenzione sulla contrapposizione tra manifestanti e forze dell’ordine, in cui alla fine si fa a fatica anche a capire quali sono i motivi per cui le persone scendono in Piazza. 

Credo vivamente che negli ultimi venti anni non ci sia stato un Governo più disponibile a far emergere la verità di questo. E anche l'imbarazzante caso dei  lacrimogeni lanciati (o rimbalzati?) dal Ministero della Giustizia sulla folla, credo poco abbia a che fare con le massime istituzioni. Bisogna, però, cercare di evitare altri passi falsi, da parte delle forze dell'ordine e da parte degli studenti. Bisogna evitare l'errore di una repressione eccessiva, cosi come gli studenti devono evitare di spostare la sfida sul piano fisico e sulla “conquista” di Montecitorio. Dimenticando i motivi per cui scendono in Piazza (Già. Quali sono?). Una sfida che ricorda tanto quella della conquista della zona rossa del G8 di Genova. E sappiamo tutti, purtroppo, come è andata a finire. 



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