Non difendo Sallusti. Né quelli
come lui, che in questi anni bui, hanno usato giornali e tv per offendere,
accusare, diffamare. Non li considero neanche giornalisti, ma impiegati al
soldo del padrone. Gente che ha utilizzato la propria posizione, per favorire
un potere politico. Utilizzando ogni mezzo. Bugie, finti dossier, accuse
personali. Non preoccupandosi delle conseguenze sulle vite dei loro “obiettivi”
politici.
Se c’era qualcuno che dava fastidio andava fatto fuori. Mezzo: diffamazione. Come successo nel caso di Dino Boffo, direttore dell’Avvenire.
“Il
direttore dell’Avvenire, in prima fila nella campagna di stampa contro
Berlusconi, intimidiva la moglie dell’uomo con cui aveva una relazione
omosessuale. Per questo ha patteggiato: con una multa ha evitato sei mesi di
carcere” - titolava il Giornale.
Ricostruzione dei fatti (vera la
condanna non la storia della relazione omosessuale) basata su una finta informativa,
fatta passare come proveniente dal tribunale, che poi si è rivelata falsa e per
la quale il direttore del Giornale Vittorio Feltri è stato sospeso per sei mesi
dall’Ordine dei Giornalisti.
Comportamento tenuto in violazione della Carta dei
doveri, in particolare là dove essa afferma che "il giornalista deve
sempre verificare le informazioni ottenute dalle sue fonti, per accertarne
l'attendibilità e per controllare l'origine di quanto viene diffuso
all'opinione pubblica, salvaguardando sempre la verità sostanziale dei
fatti"; che "è obbligo inderogabile il rispetto della verità
sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e della
buona fede"; e che, infine, "il giornalista non deve dare notizie di
accuse che possano danneggiare la reputazione e la dignità di una persona senza
garantire opportunità di replica all'accusato". Si leggeva nella delibera.
E proprio questo il
punto. E forse ora di ridare dignità ad una professione che per troppi anni si
è piegata al potente di turno, diventandone parte integrante e braccio armato. Un potere che non richiedeva competenza, bravura o indipendenza, ma proprio
la fedeltà assoluta come base per potere ambire a posti importanti nelle strutture
pubbliche o private amiche. E che allontanava, emarginava, criticava, chi non
si piegava a questa logica. Creando un’informazione e una finta realtà, che
ripetuta su ogni dove, finiva per diventare la realtà di riferimento di milioni
di italiani.
Altro dovrebbe
essere il ruolo del giornalismo. Non quello di creare una finta realtà ad uso e
consumo del potente di turno, ma quello di essere “ il cane da guardia della
democrazia”, come si suol dire. E allora iniziamo a distinguere tra giornalisti
e impiegati. Gli uni lavorano per la verità, parziale e personale, come solo la
verità può essere. Gli altri lavorano per favorire il loro referente politico o
economico che sia, dimenticandosi completamenti dei fatti e del loro andamento.
E non capisco perché questi impiegati continuino a trovare spazio esagerato in
tutti i talk show televisivi, con tante persone che sicuramente renderebbero un
servizio migliore al pubblico.
Certo ci saranno sempre letture diverse di un
evento, basti pensare ad una partita di calcio e alle 1000 versioni diverse di
spettatori e media, opinioni diverse, ma un giornalista non deve certo modificare
i fatti, o non verificarli, o addirittura crearli ad arte, solo per potere urlare in maniera istintiva e
veloce le sue tesi e i suoi dogmi
Nell’articolo del signor Sallusti, o del signor Farina, a libro paga dei servizi segreti e radiato dall'ordine dei giornalisti, che è valsa questa condanna, non si tengono nella giusta considerazione i fatti e si arriva addirittura a invocare la pena di morte “… se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il giudice”. Situazioni in cui verrebbe da riprendere quella frase pronunciata da uno di questi impiegati/direttori quando il cooperante Enzo Baldoni morì assassinato in Iraq: “Se l'è andata a cercare”.
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