giovedì 27 settembre 2012

Perché non difendo l'impiegato Sallusti


Non difendo Sallusti. Né quelli come lui, che in questi anni bui, hanno usato giornali e tv per offendere, accusare, diffamare. Non li considero neanche giornalisti, ma impiegati al soldo del padrone. Gente che ha utilizzato la propria posizione, per favorire un potere politico. Utilizzando ogni mezzo. Bugie, finti dossier, accuse personali. Non preoccupandosi delle conseguenze sulle vite dei loro “obiettivi” politici.


Se c’era qualcuno che dava fastidio andava fatto fuori. Mezzo: diffamazione. Come successo nel caso di Dino Boffo, direttore dell’Avvenire.

“Il direttore dell’Avvenire, in prima fila nella campagna di stampa contro Berlusconi, intimidiva la moglie dell’uomo con cui aveva una relazione omosessuale. Per questo ha patteggiato: con una multa ha evitato sei mesi di carcere” - titolava il Giornale. 

Ricostruzione dei fatti (vera la condanna non la storia della relazione omosessuale) basata su una  finta informativa, fatta passare come proveniente dal tribunale, che poi si è rivelata falsa e per la quale il direttore del Giornale Vittorio Feltri è stato sospeso per sei mesi dall’Ordine dei Giornalisti.

Comportamento tenuto in violazione della Carta dei doveri, in particolare là dove essa afferma che "il giornalista deve sempre verificare le informazioni ottenute dalle sue fonti, per accertarne l'attendibilità e per controllare l'origine di quanto viene diffuso all'opinione pubblica, salvaguardando sempre la verità sostanziale dei fatti"; che "è obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e della buona fede"; e che, infine, "il giornalista non deve dare notizie di accuse che possano danneggiare la reputazione e la dignità di una persona senza garantire opportunità di replica all'accusato". Si leggeva nella delibera.

E proprio questo il punto. E forse ora di ridare dignità ad una professione che per troppi anni si è piegata al potente di turno, diventandone parte integrante e braccio armato. Un potere che non richiedeva competenza, bravura o indipendenza, ma proprio la fedeltà assoluta come base per potere ambire a posti importanti nelle strutture pubbliche o private amiche. E che allontanava, emarginava, criticava, chi non si piegava a questa logica. Creando un’informazione e una finta realtà, che ripetuta su ogni dove, finiva per diventare la realtà di riferimento di milioni di italiani.

Altro dovrebbe essere il ruolo del giornalismo. Non quello di creare una finta realtà ad uso e consumo del potente di turno, ma quello di essere “ il cane da guardia della democrazia”, come si suol dire. E allora iniziamo a distinguere tra giornalisti e impiegati. Gli uni lavorano per la verità, parziale e personale, come solo la verità può essere. Gli altri lavorano per favorire il loro referente politico o economico che sia, dimenticandosi completamenti dei fatti e del loro andamento. E non capisco perché questi impiegati continuino a trovare spazio esagerato in tutti i talk show televisivi, con tante persone che sicuramente renderebbero  un servizio migliore al pubblico.

Certo ci saranno sempre letture diverse di un evento, basti pensare ad una partita di calcio e alle 1000 versioni diverse di spettatori e media, opinioni diverse, ma un giornalista non deve certo modificare i fatti, o non verificarli, o addirittura crearli ad arte, solo per potere urlare in maniera istintiva e veloce le sue tesi e i suoi dogmi

Nell’articolo del signor Sallusti, o del signor Farina, a libro paga dei servizi segreti e radiato dall'ordine dei giornalisti, che è valsa questa condanna, non si tengono nella giusta considerazione i fatti e si arriva addirittura a invocare la pena di morte “… se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il giudice”. Situazioni in cui verrebbe da riprendere quella frase pronunciata da uno di questi impiegati/direttori quando il cooperante Enzo Baldoni morì assassinato in Iraq: “Se l'è andata a cercare”.
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