mercoledì 2 maggio 2012

Muore il campione di nuoto. Crisi e infarti, lo strano nesso


Una scia che non si ferma quella della morte per infarto. Trasversale, internazionale. Colpisce il mondo dello sport, ma non solo. Colpisce in Italia e nel mondo. A spegnersi nelle ultime ore sono stati due personaggi davvero diversi: da una parte il campione del mondo norvegese dei 100 metri rana Dale Oen, dall’altra il meno noto  Raffaele Anastasi, di 62 anni, candidato sindaco di un paese della Calabria, colpito da infarto durante un comizio.


La morte di Dale Oen fa davvero effetto: giovane, soli 26 anni, atletico. Una macchina perfetta, capace di ergersi sul gradino più alto del mondo nei 100 metri rana nei recenti mondiali di Shangai, nel pieno del suo vigore fisico e sottoposto a tutti i controlli possibili per la sua attività agonistica. Stroncato da un malore proprio al termine di un allenamento in piscina. Ed è solo l’ultimo degli sportivi morti per infarto, o colpiti da malore: prima di lui era toccato alla pallavolista Veronica Gomez, deceduta proprio il giorno dopo il lutto in campo del giovane calciatore italiano Piermario Morosini. E ancora, il pallavolista, ex azzurro, Vigor Bovolenta, il preparatore dei portieri del Pescara Franco Mancini, l’ex calciatore Giorgio Chinaglia.



Se allarghiamo un po' l’orizzonte temporale, medico e geografico, la lista si allunga: troviamo il malessere di Antonio Cassano nello scorso ottobre, la morte del calciatore sedicenne Diego Riviera, quella scampata per un soffio di Patrick Muamba in Inghilterra, dove proprio lo scorso mese è deceduto addirittura un bimbo di sette anni durante una partita di calcio. Un discorso che non riguarda solo gli sportivi: come dimenticare la scomparsa del cantante Lucio Dalla, che tanta commozione ha creato tra gli italiani e quella subito dopo del semiologo Omar Calabrese. E tra le persone “comuni” le circa quindici persone decedute mentre spalavano la neve nel periodo di grande freddo.

Le statistiche dicono che le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte nel mondo occidentale, anche se negli ultimi anni il dato è andato migliorando. Ma a memoria d’uomo non ricordo, in un lasso di tempo cosi breve, una lista cosi lunga di sportivi deceduti per infarto.

Una riflessione è necessaria: forse il problema non è il tipo di controllo, ma chi li effettua questi controlli. Questi medici sono capaci di capire i fattori di rischio? O si affidano solo ai responsi delle macchine? E’ solo una domanda, un dubbio. Non una condanna. Forse anche un cuore sano e allenato, se portato al limite estremo delle proprie possibilità, può risentire dello sforzo. 

Per quanto ne so, nella mia esperienza di allenatore giovanile di basket, quando vedevo un ragazzo stanco, esausto, durante una partita o un allenamento, gli davo il tempo di riposarsi, di recuperare, prima di rimetterlo in campo. Forse è proprio questo il problema: che il sistema sportivo professionistico, non sa più valutare le persone. Richiede sforzi e prestazioni sempre maggiori agli atleti. Oltre il limite umano. E non da il tempo al corpo di recuperare le proprie energie. E il corpo, proprio come una macchina rimasta senza benzina, arrivato al limite massimo delle proprie possibilità, si ferma. Senza appello.

Cosa c’entra l’infarto con il sistema economico? Il problema è lo stesso. Anche li ci si è dimenticati di alcune regole di base e si è portato il sistema all’estremo, in una corsa sfrenata e illogica, nel nome di un consumismo esasperato e di un guadagno immediato. Tutto è stato estremizzato. L’economia finanziaria si è distaccata da quella reale e si è tentato di fare soldi, con speculazioni, spostamenti di denaro da un posto all’altro, con l’unico scopo di fare profitti in borsa, senza investire in un progetto, una fabbrica o qualsiasi altra cosa che porti sviluppo. Si è pensato solo al guadagno immediato. Ad ogni costo. Sacrificando il guadagno spicciolo, del momento, ad un guadagno più reale e duraturo. Oltre ogni regola. Legittimando la corruzione. Le raccomandazioni. L’evasione fiscale. Una sorta di delirio generale in nome di una ricchezza irraggiungibile. Di un bisogno sfrenato di spendere sempre più. Di sperperare. Di avere oggetti sempre nuovi.

Le fabbriche che chiudono sono il sintomo di questo modello consumistico portato all’estremo Che non sarebbe mai potuto mai durare a lungo. Che ha messo il guadagno davanti a tutto. Un sistema che sta crollando a terra, come quegli sportivi che si accasciano sul campo di gioco. Portato oltre il limite, portati oltre il limite delle proprie possibilità. Nel nome di un sistema che chiede prestazioni sempre maggiori, massacranti, dimenticando che anche il corpo umano ha bisogno dei suoi tempi di recupero. Che non può essere portato sempre oltre. Che ogni tanto bisogna fermarsi, per chiedersi se si sta andando nella direzione giusta, per rifiatare. Che ci sono dei valori e dei tempi che vanno rispettati. Anche nell'economia. Perché il capitalismo non può esistere senza regole. Come qualcuno ci ha voluto fare credere. E come qualcuno ha voluto credere. 



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